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Preziosi

L'ORO E I GIOIELLI, L'ARGENTO, LE GEMME, GLI OROLOGI

L’oro e i gioielli, l’argento, le gemme, gli orologi: le loro caratteristiche, la loro storia, come conservarli perfettamente, che cosa sapere prima di fare un acquisto.

 

CARATI E CARATI UN TERMINE PER DUE USI


A tutti sarà capitato di avere a che fare con i carati, ma il duplice significato di questo termine, utilizzato per parlare di pietre preziose e di metalli nobili, può suscitare perplessità.
di Fabio Savian

Millimetri, etti, litri, watt, millibar, byte, calorie. Molte unità misurano le nostre esperienze quotidiane e ci aiutano a comunicare dati precisi. Spesso ne ignoriamo l’origine e il significato scientifico ma sempre ci evidente lo scopo di misurazione di una grandezza caratteristica. Non cosi carati che si distinguono per essere utilizzati con due scopi differenti e quindi con un difetto di chiarezza intrinseco. Principalmente il carato è inteso come una misura di peso alla stessa stregua del grammo. Più piccolo del grammo quindi più adatto a percepire piccole differenze di peso nelle pietre preziose, che significano spesso grandi differenze di valore.
Il termine fu coniato dai greci che già nell’antichità furono sensibili al problema e individuarono nei semi di carruba essiccati un peso sufficientemente piccolo per pesare le gemme. Il termine greco per indicare la carruba, kertion, mutuato dall’arabo qirat, divenne quindi carat nel mondo anglofono, karat in quello germanico e carato in italiano; sempre carat per i francesi ma quilate per gli spagnoli.

Nonostante l’impegno della natura ad aiutare l’uomo, il peso dei semi di carruba non poteva certo reggere come standard internazionale e fu quindi una convenzione nel 1907, tenutasi a Parigi, a determinare in modo definitivo il carato metrico equivalente a 0,20 grammi.

Un grammo corrisponde quindi a 5 carati metrici.
Prima di allora i carati avevano valori diversi seppure poco differenti. Ci creava ovviamente difficoltà di intesa fra operatori di diverse piazze; l’unificazione superava le incomprensioni che la facilità di comunicazioni e di spostamento del nostro secolo andavano ad accentuare. Se a Parigi il carato era 0,2055 grammi, in altre piazze variava da un minimo di 0,1855 a Bologna, a un massimo di 0,2159 a Livorno. Ma era 0,1922 in Brasile e 0,206446 in Olanda.
Nel 1871 subì un primo processo di standardizzazione divenendo pari a 0,205 g, oggi noto come carato vecchio.
Il carato ha perso nel linguaggio corrente l’aggettivo metrico perché ormai l’unico carato a cui si fa riferimento in campo internazionale e viene indicato con l’abbreviazione “ct”.
Dato il valore degli oggetti pesati, accade quasi sempre di dover utilizzare anche le frazioni di carato. Si usano perciò i centesimi di carato chiamati spesso anche “punti” dagli operatori. Gli impertinenti punti non si riferiscono quindi ad una misteriosa classifica ma sono semplicemente un centesimo di carato. Sebbene talvolta si utilizzino anche i millesimi, in genere i centesimi sono sufficienti per esprimere il peso entro la tolleranza desiderata. In passato erano utilizzati anche i grani, corrispondenti a un quarto di carato, ma questa frazione è oggi in disuso.
Dall’Olimpo delle unità di misura compare anche il “momme”, cugino giapponese del carato, impiegato per pesare le perle quando la mancanza di sfericità impedisce di misurarne il diametro in modo significativo. Il momme corrisponde a 3,75 grammi, ossia a 18,75 carati.
Essendo i carati una misura di peso e non di volume è tutt’altro che superfluo ricordare che le pietre preziose hanno pesi specifici diversi che anzi costituiscono uno dei parametri per identificarle. Ciò significa che a parità di dimensioni un diamante pesa più di uno smeraldo oppure che a parità di peso uno zaffiro ha volume più piccolo di un quarzo.

L'ALTRO CARATO

Fonte di confusione è l’uso dello stesso termine per esprimere il titolo dei metalli nobili.
Oro, argento e platino, per parlare dei più noti e diffusi, non sono mai puri quando sono proposti come manufatti. Si presentano sempre in leghe delle quali costituiscono la frazione più importante.
Altri metalli sono presenti con lo scopo di conferire qualità fisiche di durezza e resistenza superiori a quelle del metallo puro e quindi più adatte per la manifattura di gioielli. Ma non solo. La scelta dei metalli con cui si lega l’oro oltre ad assicurare una maggiore durezza e minor deformabilità , ne determina anche la variazione di colore.
L’oro giallo, il bianco e il rosso differiscono fra loro per la scelta dei metalli a cui legato l’oro e non per la percentuale presente nella lega. L’oro bianco è legato con palladio e nichel mentre il rame è il responsabile della colorazione rossa. La quantità percentuale di metallo nobile contenuta in una lega nota come titolo. Si indica con una percentuale in millesimi anziché con il tradizionale simbolo % usato per le percentuali in centesimi, fornendo una maggior precisione dato il valore dei metalli in gioco. Come in un vino la percentuale di alcol è indicata sull’etichetta in gradi, così la quantità di oro contenuta in una lega è espressa in millesimi e punzonata sui gioielli.
Nel caso dell’oro un titolo 750 significa che nella lega ci sono, in peso, 750 parti su 1000 di oro e 250 parti di altri metalli. Il titolo 750 per l’oro grandemente il più diffuso per gli oggetti di oreficeria tanto che fino a pochi anni fa era l’unico consentito dalle leggi italiane. All’estero e soprattutto nel mondo anglofilo, si utilizza un sistema diverso per esprimere il titolo, per l’appunto i carati.
Il termine, lo stesso della misura di peso delle pietre preziose, ha qui un altro significato e serve per esprimere una proporzione in ventiquattresimi.
Si indica con 24 carati il metallo puro e quindi con un numero in proporzione la percentuale contenuta nella lega. Secondo questo sistema accade che il titolo 750 divenga 18 carati poiché 18 parti su 24 è perfettamente equivalente a 750 parti su 1000.
Curiosamente l’interpretazione del termine carato come proporzione si è diffusa anche nel linguaggio azionario per definire le quote di partecipazione in una società e persino nelle tabaccherie per indicare la frazione di giocata di un sistema di schedine.
All’estero l’oro diffuso soprattutto in titoli più bassi di 750; è facile incontrare titoli di 14 ct, 10 ct e 8 ct corrispondenti rispettivamente a 585 , 415 , 333. Questi oggetti sono cioè fabbricati con una lega più povera nel contenuto di oro.
Un rapido conto con una calcolatrice potrà confermare che dividendo i titoli espressi in carati per 24, si otterranno i millesimi espressi nel sistema a noi familiare. I viaggiatori preparino la calcolatrice, i punzoni stranieri più facilmente indicano i carati anziché i millesimi e soprattutto frequente per l’oro che i titoli siano inferiori al 750 a cui siamo abituati.
Nei negozi italiani abitudine far notare ai clienti il titolo più basso nei rari casi in cui ci si verifica. Al contrario accade facilmente che all’estero venga fatto rilevare il titolo quando 18 ct poiché la norma un titolo più basso.
E’ necessario quindi prestare un poco di attenzione a queste questioni, in sostanza semplici ma che il corso della storia della tecnologia ha provveduto ad intrecciare con termini ed usi non sempre comprensivi in modo intuitivo.
Ogni metallo prezioso pu essere commercializzato in un certo numero di titoli caratteristici, in un certo senso omologati dalla tradizione ma anche dalle leggi. In Italia questi titoli sono punzonati per legge su qualunque oggetto prezioso per dichiararne il valore. Le punzonature sono costituite da una losanga di forma diversa a seconda del metallo prezioso, al suo interno espresso il titolo in millesimi.
Nelle figure sono disegnate le losanghe che identificano l’oro, l’argento, il palladio e il platino.
L’oro come già accennato distribuito in Italia quasi esclusivamente nel titolo 750 ma i titoli alternativi sono 915 (22 ct), 585 (14 ct), 500 (12 ct), 415 (10 ct) e 333 (8 ct). L’argento prevede i titoli 800 , 835 e 925 .
Al contrario dell’oro pi consueto riferirsi al titolo dell’argento in millesimi e non in carati. Fa eccezione l’argento 925 spesso chiamato ‘sterling’ dagli inglesi. Il platino e il palladio sono diffusi nella lega pi pura con 950 di titolo. Il titolo elevato del platino giustificato dalle caratteristiche fisiche di questo metallo che non abbisognano di grandi correzioni per le esigenze commerciali essendo già molto resistente allo stato puro.
Ovviamente queste disposizioni valide per l’Italia si manifestano secondo regole diverse, seppur analoghe, nei diversi paesi. Un tempo era obbligatorio aggiungere il titolo previsto dalle nostre norme a quello dello stato di provenienza, al momento dell’importazione. Attualmente la legge accetta anche solo il punzone originale se l’oggetto proviene da uno stato dell’Unione Europea.

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