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Associazione Orafa Lombarda

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Preziosi

LE GEMME

Anche le più antiche opere di oreficeria giunte sino a noi, dagli scavi di Ur in Mesopotamia alle tombe egizie, sono in molti casi decorate con pietre preziose o semipreziose.
Oro e argento sono quindi impiegati fin dai primissimi documenti archeologici, sia come unica materia prima di ornamenti e suppellettili, sia come materia legante per una composizione di metalli e pietre.
Da sempre quindi le pietre hanno accompagnato l’oggetto d’arte orafa.
A partire dal XVII secolo poi si sono raggiunte notevoli innovazioni nel taglio e nella levigazione delle pietre: tutte le gemme accrescono la loro luminosità e l’intensità cromatica se tagliate nel modo opportuno invece che rotte rozzamente o levigate. Queste nuove conquiste sono state d’enorme importanza: basti pensare alla possibilità di tagliare e sfaccettare la più dura delle pietre, il diamante. Nell’antichità il diamante infatti era conosciuto, ma poco considerato, poiché alla stato grezzo la sua luce è povera mentre, tagliato a brillante, rende una luce ineguagliabile.

Alcune Definizioni:
Gemma: minerale, roccia o sostanza d’origine organica con particolari caratteristiche estetiche che la rendono adatta ad usi ornamentali. E’ un materiale bello, raro e durevole.
Minerale: sostanza inorganica chimicamente omogenea a composizione definita, avente una struttura cristallina. In un cristallo gli atomi si dispongono ordinatamente e in modo regolare.
Roccia: un insieme di minerali; tali minerali possono essere dello stesso tipo (es. marmo, roccia costituita interamente da carbonato di calcio) o di tipo diverso (es. granito, roccia costituita da vari minerali, quali quarzo, ortoclasio, plegioclasio, ecc.).
Sostanza d’origine organica: sono d’origine organica per es. le perle, l’ambra, il copale, il corallo.
Gemma simile: minerale naturale le cui caratteristiche visive lo rendono simile ad un’altra gemma. Per esempio lo spinello rosso è una gemma simile del rubino.
Gemmologia: scienza che studia tutte le gemme, la loro identificazione, utilizzando tecniche non distruttive e che permette di stilare certificati d’analisi gemmologica, in altre parole il risultato di tutte le procedure di laboratorio che mirano ad identificare o descrivere il materiale gemmologico esaminato.

IL DIAMANTE
Il diamante è la sostanza più dura sino ad oggi conosciuta. Viene chiamato “brillante” quando è tagliato è a brillante: un modo rapido per dire “diamante tagliato a brillante”.
I diamanti, costituiti solo da atomi di carbonio, si sono formati tra circa 3 miliardi e 990 milioni d’anni fa, in una zona sottostante la crosta chiamata mantello superiore, in condizioni di temperatura intorno ai 900-1300 C e di pressione di 45-60 Kbar.
Il magma, risalendo verso la superficie e contenendo elementi gassosi, ha causato violenti fenomeni esplosivi che sono stati poi la causa della formazione di grandi vulcani e della risalita verso la superficie dei diamanti.
I diamanti erano conosciuti fin dall’antichità (IV sec. a.C.) e fino al 1700 gli unici giacimenti erano localizzati in India. Nel 1700 fu scoperto il primo giacimento in Brasile e solo nel 1869 il primo giacimento in Sudafrica.

“Le quattro C” le caratteristiche che determinano il valore di un diamante:

CARATA (PESO)
Il peso è un elemento indispensabile nella valutazione del diamante. Si misura in carati metrici (ct). Un carato corrisponde a 0,200 g. Per pesare si utilizzano bilance elettroniche o meccaniche ed è indicata sempre la seconda cifra decimale. Se la pietra è molto piccola, si può utilizzare come unità di misura la centesima parte del ct, denominata commercialmente “punto” (1 ct = 100 punti). Es. 0,20 ct = 20 punti.

CUT (TAGLIO)
Il taglio è molto importante perché un parametro che influenza in modo significativo la luminosit à e di conseguenza la bellezza di un diamante. Dalle proporzioni del taglio deriva buona parte della bellezza della pietra, la sua luminosità (brillantezza), la sua lucentezza (scintillio), il suo fuoco (gioco di colori). La luce deve quindi entrare nella pietra, riflettersi sulle faccette di padiglione e uscire nuovamente della parte superiore per essere vista dall’osservatore (luminosità ). La luce deve anche subire riflessione sulla superficie esterna (lucentezza) e rifrazione con dispersione, in modo da scindersi nelle sue componenti monocromatiche (fuoco).
Si distinguono cinque elementi fondamentali del taglio:
• La tavola, che corrisponde normalmente alla superficie più estesa di una gemma sfaccettata;
• La corona, l’ insieme di faccette poste nella parte superiore della gemma;
• La cintura, che delimita la parte superiore da quella inferiore;
• Il padiglione, l’insieme delle faccette della parte inferiore;
• L’apice
Secondo le più recenti normative UNI, le suddette forme devono essere seguite dalla specificazione del tipo di taglio, che può essere:
• Taglio a brillante: è il tipo di taglio più conosciuto e pi ù usato per il diamante. Ha un numero minimo di 57 faccette, così distribuite: 1 tavola centrale superiore, 32 faccette superiori o di corona, 24 faccette inferiori.
Il taglio a brillante ha una forma prevalentemente rotonda, ma si può effettuare in forme diverse, come ad esempio forma ovale, a goccia, a “navette” o “marquise”, a cuore.
• Taglio a brillante modificato: se mancano una o pi ù faccette fondamentali previste nel taglio a brillante.
Altri tagli usati sono:
■ Taglio a gradini
■ Taglio carré
■ Taglio baguette
■ Taglio tapered (a trapezio)
■ Tagli fantasia
Nuovi tagli, particolarmente adatti ad esaltare la brillantezza in un diamante sono i tagli barion, princess e radiant.

CLARITY (LIMPIDEZZA)
Questa caratteristica del diamante veniva denominata “purezza” e ora si parla di “caratteristiche interne”, con maggiore proprietà, poiché nessun minerale può ritenersi rigorosamente puro . Consiste nella visibilità , alla lente a 10 ingrandimenti ( 10X) , di inomogeneit à che interrompono la continuit à della visione all’interno della pietra. Per stabilire il grado di incidenza delle caratteristiche interne eventualmente presenti in un diamante sulla sua limpidezza, sono state messe a punto delle scale che tengono conto della misura, numero, colore, lucentezza e posizione di tali caratteristiche.
Nella Normativa UNI, la scala delle caratteristiche interne del diamante è la seguente:
■ IF (internally flawless): assenza di caratteristiche interne alla lente 10X.
■ VVS (VVS1 – VVS2) (very very small inclusion): caratteristiche interne molto molto piccole, molto difficili da inviduare alla lente 10X.
■ VS (VS1 -VS2) (very small inclusion): caratteristiche interne molto piccole, difficili da inviduare alla lente 10X.
■ SI (SI1 – SI2) (small inclusion): caratteristiche interne piccole, facili da individuare alla lente 10X.
■ P (P1 – P2 – P3) (piqu ): caratteristiche individuabili ad occhio nudo.

COLOUR (COLORE)
I diamanti in natura si trovano praticamente in tutte le colorazioni possibili. Le pi ù comuni sono l’incolore, il giallo ed il bruno. Pi ù rare sono le colorazioni verde, arancio, rosa, blu e rosso. La maggior parte dei diamanti utilizzati in gioielleria appartiene alla cosiddetta “serie Cape” che comprende diamanti da incolori, più rari, a diamanti incolori con sfumature di colore giallo, fino a saturazione di giallo sempre maggiore. Nei secoli scorsi i termini usati per descrivere il colore facevano riferimento ai giacimenti conosciuti allora: per esempio “Golconda” (India) per i diamanti più incolori, “Bahia” (Brasile) per i più gialli.
La scala oggi utilizzata è la scala GIA – Gemmological Institute of America e comprende le lettere dell’alfabeto anglosassone dalla D alla Z .
Per l’attribuzione del colore, l’analista procede per paragone con una serie di diamanti campione (Master Stones), che deve essere costruita appositamente sulla falsariga di quella GIA e di quella CIBJO ( La Federazione Internazionale degli operatori del settore preziosi) , in condizioni d’illuminazione regolamentate da normativa UNI. Per il rilascio di certificati si devono utilizzare master in diamanti.
Tutti i diamanti sono belli, indipendentemente dal loro colore. Tuttavia pi ù un diamante si avvicina alla totale assenza di colore, più è raro e prezioso. Esistono diamanti perfettamente incolori che sono molto rari (D,E,F,G, e H della scala GIA – Gemmological Institute of America), mentre la maggior parte dei diamanti estratti presentano una lieve colorazione (I,J,K o L della scala GIA).

LE GEMME


Il corindone (rubini – zaffiri)
Mineralogicamente ed in virtù della elevata durezza, il corindone è la specie pi ù importante dopo il diamante. Presenta numerose variet à e quelle utilizzate come gemma sono il rubino, di colore rosso in varie tonalità e lo zaffiro, di colore azzurro-bluastro e blu in varie tonalità.

RUBINO
Il colore va dal rosso vivace, detto sangue di piccione, al rosso cupo, rosso-chiaro, rosso-violaceo; dovuto ad ossido di cromo. Le forme di taglio sono varie: ovali, rettangolari o quadrate (generalmente a contorno ottagonale), raramente rotonde; non sono strettamente legate a proporzioni tra parte superiore e parte inferiore della pietra, bensì tese ad ottenere un buon sfruttamento del colore che il grezzo presenta.
Il rubino presenta facilmente inclusioni in misura più o meno notevole di vario tipo ed aspetto, talvolta caratteristiche per il suo riconoscimento da altre pietre rosse di differente natura mineralogica ed orientative nei riguardi del giacimento da cui provengono i vari esemplari.
I giacimenti più importanti sono situati in: Birmania, Thailandia (Siam), Ceylon (Sri Lanka), Africa orientale (Tanzania).

ZAFFIRO
Il colore dello zaffiro è molto vario: dall’azzurro-bluastro al blu vellutato, blu-violaceo, blu intenso, quasi nero, dovuto ad ossido di ferro ed ossido di titanio.
Anche lo zaffiro come il rubino presenta facilmente inclusioni in misura pi ù o meno notevole di vario tipo ed aspetto, talvolta caratteristiche per il suo riconoscimento da altre pietre blu di differente natura mineralogica ed orientative nei riguardi del giacimento da cui provengono i vari esemplari.
I giacimenti pi ù importanti sono situati in: Birmania, Thailandia, Sri Lanka, Kashmir, Pakistan orientale (Cambogia), Montana (USA), Australia.
A differenza del rubino, lo zaffiro si rinviene nei vari giacimenti in maggior quantità .

Il berillio 
Lo smeraldo e l’acquamarina sono due varietà di berillio notevolmente apprezzate e diffuse in gioielleria.

SMERALDO
Ha tipico colore verde (detto appunto verde-smeraldo), verde vivacissimo, vellutato, intenso.
Si passa da tonalità verde-scuro, cupo, verde un po’ chiaro sino a verde-pisello; la colorazione è dovuta ad ossido di cromo, ossido di ferro ed in taluni casi anche ad ossido di vanadio. Lo smeraldo presenta molto facilmente inclusioni, anche notevoli, di vario tipo ed aspetto, nonch é fratture interne, colorazione zonata; il tutto può riuscire talvolta sufficiente al suo riconoscimento da altre pietre verdi di differente natura mineralogica.
Le forme di taglio sono principalmente rettangolari, quadrate a contorno ottagonale o ad angoli acuti, con sfaccettature a gradini; a goccia, raramente rotonde e ovali.
Come per rubino e zaffiro, le forme non sono strettamente legate a proporzioni tra parte superiore e parte inferiore della pietra e, pur cercando di non ottenere pietre troppo spesse (alte) o troppo lasche (basse), si cerca di sfruttare nel miglior modo il colore del grezzo.
Oggi sono in abbandono i famosi giacimenti egiziani, le cui miniere furono lavorate sino dal tempo dei Faraoni ed ebbero grande impulso sotto il regno di Cleopatra. Attualmente i pi ù proficui sono quelli della Colombia, della Russia; buon materiale proviene anche dal Pakistan e dal Brasile.
I tanto decantati “smeraldi indiani” nell’ambiente della gioielleria, non sono per niente tali, bens ì quelli provenienti dall’antico Egitto e abitualmente commerciati in India. Gli attuali giacimenti indiani furono scoperti nel 1945 e sino ad ora hanno dato materiale di scarsa bellezza.

ACQUAMARINA
Varietà molto bella per il suo delicato colore dell’acqua di mare. Le tonalità possono variare dall’azzurro-cielo, sovente intensissimo, all’ azzurro tendente al verdognolo. Proviene, in notevoli dimensioni e calde colorazioni, particolarmente dal Brasile, nonché dalla Russia e dall’Africa meridionale.
Nei primi anni del XIX secolo, in Brasile, nella miniera di Papamel, venne estratto il più grande e famoso cristallo di acquamarina di 110 Kg di peso. Trasparente, con scarse inclusioni di un bellissimo colore azzurro verde. Ora una piccola parte non tagliata di questa pietra grezza, del peso di circa sei chili, è conservata presso il Museo Americano di Storia Naturale a New York City.

LE PERLE
Le perle sono definite “concrezioni di varia grandezza e forma prodotte da alcune specie di molluschi marini e d’acqua dolce” e sono costituite da carbonato di calcio, sotto forma di aragonite, e sostanza organica (conchiolina).
Teoricamente tutti i molluschi possono produrre perle, anche quelli commestibili, ma quelle apprezzate in gioielleria sono prodotte esclusivamente da pochi tipi di molluschi lamellibranchi, da gasteropodi, da cefalopodi.
La presenza di un corpo estraneo a contatto con il guscio e il mantello di un mollusco perlifero, provoca nell’animale una reazione di difesa.
Il tessuto epiteliale esterno tende ad isolare il corpo estraneo ricoprendolo di perlagione, costituita da strati successivi di carbonato di calcio e conchiolina; il risultato finale è una perla.
Tra i lamellibranchi perliferi marini i più noti produttori appartengono al genere Pinctada:
Pinctada martensi : la specie coltivata in Giappone, con diametro di circa 10- 15 cm, con deposizione di perlagione di 0,15-0,30 mm/anno. Le perle hanno un diametro compreso tra i 3 e gli 8 mm (rare quelle di 9 mm), ma molto difficile ottenere fili con perle di 8 mm. Sono le perle più belle per la forma molto regolare, la superficie liscia e per la luce (“oriente”) che ne determinano un aspetto vellutato.
Pinctada maxima: la specie di maggiori dimensioni con diametro di 20- 25 cm, con forte strato di madreperla che raggiunge sovente vari centimetri di spessore. Il diametro medio delle perle di 12- 15 mm, ma ne esistono anche di 17- 18 mm. La deposizione di perlagione di 3-3,3 mm/anno, ma i cristalli di aragonite sono pi ù grossi e si dispongono in modo tale che la superficie risulta meno liscia. Le perle hanno forme irregolari (barocche). La pinctada maxima diffusa nell’Oceano Indiano, nel Mar Rosso e nel Golfo Persico.
Pinctada margaritifera: la sottospecie Cumingi produttrice delle “perle nere di Tahiti” e ha un diametro di 15-20 cm. Il diametro medio delle perle di 9- 10 mm, e la deposizione di perlagione di 2-2,2 mm/anno. La sottospecie Erythrensis vive nel Mar Rosso, Tanzania, Mozambico, Madagascar, isole Seychelles, Australia del Nord, isole Ryu-Kyu (Giappone).
Le forme delle perle sono numerose: sferiche perfette, a goccia, a bottone e le irregolari dette barocche o scaramazze.
L’unità di peso in uso nel commercio delle perle è il grano che corrisponde ad un quarto di carato (1 grano = 0,25 ct). In Giappone l’unità di misura per il peso è il momme (1 momme = 18,75 ct = 3,75 g)
Il valore è dato dal rapporto tra peso e dimensioni delle perle. Più la forma della perla è regolare, perfettamente tonda, e più si innalza il valore.
Il colore più comune della perla è il bianco e il crema. Le diverse sfumature sono valutate in modo diverso a seconda del luogo. Ad esempio nei Paesi nordici sono preferite perle bianche, nei Paesi a Sud perle tendenti al giallo, in Italia sono maggiormente apprezzate perle con sfumatura rosa.
Il primo gioiello di cui si ha notizia certa risale al V secolo a.C. Si tratta di un collier ritrovato nel sarcofago di una regina persiana sepolta a Susa e conservato al Louvre: tre fili composti da 216 perle.
I primi tentativi conosciuti per produrre perle coltivate risalgono ai cinesi che già intorno al XIII secolo introducevano corpi estranei fra il mantello e la conchiglia dei molluschi. I Giapponesi perfezionarono questo metodo, e nel 1913 Kokiki Mikimoto mise a punto il metodo per ottenere perle sferiche di allevamento.

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